Classe 2°A Liceo


Ciò che Manzoni non dice di Don Rodrigo ne “I Promessi Sposi” 2AL


Sarebbe bello essere importante come Don Rodrigo! Vivere in un castello, pieno di sfarzo e bellezze, servitori che ti stanno intorno e prima che tu esprima il tuo desiderio lo hanno già esaudito. Ah, si, che bello! Svegliarsi ogni giorno, aprire la finestra e scoprire che sul lago di Lecco il sole splende e una brezza leggera ti accarezza il viso. Direi un piccolo angolo di paradiso… Senza dimenticare tutte le donne che ti girano attorno e il fatto di essere rispettato da tutti. Perciò sarebbe affascinante chiudere gli occhi e immaginare di essere nei suoi panni. Perché non provarci?! Chiudo gli occhi e pochi secondi dopo sono a Lecco. Mi guardo allo specchio e sono proprio il vero Don Rodrigo, il gentiluomo di Lecco! Wow! Ricco, famoso, potente… ma io chi sono veramente? Sì, sono una persona che si fa rispettare. Tenebroso, incuto paura a chiunque. Beh, effettivamente è facile non farsi mettere i piedi in testa se hai una squadra di scagnozzi pronta ad agire per te. Insomma a chi non farebbe paura un bravo che ha su un fianco una pistola e sull’altro un coltellaccio? Forse non è che so farmi rispettare perché tutto sommato Manzoni non mi ha mai fatto agire da solo, in prima persona, per affrontare i miei problemi senza l’aiuto dei miei uomini. Sono riuscito a incutere timore grazie all’alone di potere e ricchezza che mi circonda e sì, così lo sappiamo fare tutti. Passando per il paese tutte le perone mi fanno la riverenza, che per tutti, penso, sia fonte di grande orgoglio. Ma adesso che ci penso posso essere ricco e potente quanto voglio, ma se nessuno si fiderà mai di me nella mia vita, rimarrò una persona sola. Non sarei così temuto e importante, come vengo presentato da Manzoni, se non fossi così ricco da possedere i bravi. Azzardo a dire che preferirei quasi essere una uomo povero, riconosciuto non per incutere timore, ma per le buone azioni che fa. Tutti noi vogliamo sentirci importanti per qualcuno, anch’io essendo un essere umano, sbaglio l’atteggiamento con cui cerco di farmi piacere dagli altri. Sono un uomo solo che vuole sentirsi importante, e lo potrei fare meglio di chiunque altro per la posizione che ho nella società, ma sbaglio il modo di interagire con i miei compaesani e quindi continuo a rimanere solo, viziato perché ogni cosa che chiedo la ottengo. Oh! Quel bullo di Don Rodrigo! Forse un po’sì, lo sono. Tutti i bulli hanno bisogno di sentirsi importanti e usano il terrore come mezzo per diventarlo. Forse avevo bisogno di aiuto a suo tempo. Avrei potuto prendere esempio da mio padre, lui era una persona totalmente diversa. Amato e rispettato da tutti, soprattutto in questo castello che ora più che mai mi sembra vuoto, non di persone, quelle sono rimaste le stesse , ma di allegria. Forse accecato dalla gelosia nei confronti di mio padre, forse perché pensavo che per avere rispetto bisognasse incutere paura sono diventato così e rimango il Don Rodrigo descritto da Manzoni. Riapro gli occhi e sono in camera mia, mi sdraio sul letto e ripenso a quello che ho appena vissuto. Forse Don Rodrigo può essere visto in un’altra maniera. Ognuno di noi nasconde dentro di sè un “bullo” quando rispondiamo male o litighiamo con le persone, ma riceviamo l’amore e non dico quello superficiale, ma quello vero dai nostri genitori e dalle persone a cui vogliamo bene. Questo amore è l’unica arma in grado di sciogliere “i cuori di ghiaccio”, come quello di quel “povero bullo” di Don Rodrigo.


Quel tenerone di Don Rodrigo


Salve Manuela, questa lettera è stata scritta da Don Rodrigo, quindi ti conviene leggerla e tenere il suo contenuto per te. Non è la prima che ti scrivo ma, se Dio vuole, sarà l’ultima che inizierò con il tono minaccioso che di solito contraddistingue ogni mia parola. Sono qui per parlarti di me, il me che nessuno, neanche lo scrittore che mi ha creato, forse conosce. Oramai in paese si sa, il mio nome sulle persone ha l’effetto che avrebbe la loro paura più oscura; si ripiegano su loro stessi e chiudono gli occhi, ripetendosi continuamente “Se fai quello che dice, sarai salvo. Una volta chiarita la premessa, possiamo passare ai fatti. Tutto fu scatenato da quel gentiluomo di mio cugino, il conte Attilio; era venuto a farmi visita nei primi giorni di novembre, stabilendosi nella mia dimora a tempo indeterminato. Passavamo le giornate insieme a vagabondare per Lecco, io vantandomi del mio potere e lui esprimendo continuamente dubbi sulla mia effettiva importanza. Devi sapere che questa nostra faida va avanti dagli albori della nostra giovinezza, quando “gareggiavamo” per vedere chi riceveva più rispetto e stima dai propri compaesani. Devi anche sapere che io non sopporto la sconfitta. Come puoi notare, questo rispetto era in realtà paura. Un giorno ci ritrovammo nella filanda del mio paese, un po’ per caso e un po’ per mia scelta. Dovevo dimostrare a mio cugino che nel paese ero io che dettavo le regole; e quale posto migliore di una filanda piena di fanciulle pronte a fare di tutto per me? Appena entrati nell’edificio, tutte le presenti smisero di lavorare e seguirono ogni mio movimento con sguardo attento. Tutte tranne una. Quel giorno non ci feci troppo caso, e mi accontentai di portare via con noi tre signorine dagli abiti lunghi e bianchi. Sapevo benissimo che mi avrebbero seguito solo per i mio nome e la protezione che ero in grado di garantire, ma il Conte voleva questo e io dovevo farlo. Io in paese non dovevo rendere conto a nessuno, nessuno metteva in dubbio il mio nome. Solo Attilio lo faceva, e andava fermato. La seconda volta finimmo in filanda davvero per caso, esattamente nel momento in cui tutte le lavoratrici uscivano per andare a casa. Una rimase indietro rispetto al gruppo e, come un lupo su una pecora staccatasi dal gregge, mi avvicinai a lei e la riempii di complimenti che forse non sono trascrivibili in una lettera. Lei non mi guardò nemmeno, allungando il passo e tornando al sicuro in mezzo alle altre. La cosa non mi avrebbe dato più di tanto fastidio… se non fosse stato per mio cugino. La sua risata di scherno rimbombava nella mia testa come se fosse quella di migliaia di persone; in un solo istante mi ritrovai a provare la paura di non riuscire a mantenere il mio potere, e di cadere come fossi un signorotto qualunque, e la rabbia verso quella risata e quella ragazza, quella che non aveva neanche voluto incrociare il mio sguardo. Mi sentii umiliato e decisi che avrei avuto quella ragazza (scoprii in seguito che il nome era Lucia) a qualunque prezzo. Tutto per una risata? Sì, è una domanda giusta da porre. Io sono Don Rodrigo e ho appena ammesso di essere stato spaventato e minacciato da una risata. Io mi ero guadagnato la mia posizione, ero arrivato in alto. Se qualcuno mi avesse fatto cadere, mi sarei fatto veramente male. Sarei passato da tutto a niente. Alla fine è più o meno quello che succede a voi, cara Manuela. So che li chiamate “bulli” quelli che come me usano la paura per essere rispettati. Alla fine quello che c’è dalla nostra parte è una grande rabbia verso il mondo che non riconosce il nostro valore (forse da noi sopravvalutato) e una grande paura di non avere potere. Il potere, soprattutto sulle persone, ti stordisce. Ma con gli anni mi sono posto delle domande che ora toccheranno a te. Chi comanda la vita degli altri attraverso la paura, ha tempo di essere il padrone anche della propria? E ancora, se un uomo deve sempre pensare ad incutere terrore, verrà il giorno in cui urlerà guardandosi allo specchio? La mia coscienza è ormai nera come il carbone e ora non posso più esimermi dai miei compiti di “bullo” perché oramai è il “personaggio” che sono. L’unico consiglio che posso darti in questa lettera è quello di stare insieme. Secondo te perché quelle nullità di Renzo e Lucia sono riuscite a sfuggirmi? Perché sono sempre rimasti uniti, anche se lontani. So che riuscirai a trarre le tue conclusioni. Distinti saluti, “il bullo” Don Rodrigo




Impaginato da Alessandro Magistrelli 5Ci 2019/2020